“Oggi vi parliamo di un robot che imita le proprietà delle radici delle piante, inclusa la capacità di crescere”, spiega Julián López Gómez di Euronews. “E quello che a breve scoprirete è che le applicazioni possibili non sono solo fantascienza.<br /><br />Prima di costruire le loro radici robotiche, i ricercatori hanno dovuto anzitutto comprendere in che modo le radici vere si comportano sottoterra. Un compito tutt’altro che facile.<br /><br />“Le radici delle piante devono muoversi in un ambiente estremamente complicato, come vedete: il suolo. Devono applicare delle pressioni molto elevate per crescere”, racconta Barbara Mazzolai, biologa dell’Istituto Italiano di Tecnologia e coordinatrice del progetto ‘Plantoid’. <br /><br />“Innanzitutto – prosegue – crescono dalla punta, dall’apice della radice, aggiungendo nuovo materiale. E spingendo per osmosi, quindi prendendo acqua dal suolo, la punta. Quindi, producono muco e rilasciano cellule morte continuamente. Questo crea una sorta di ‘interfaccia’ tra la radice naturale e il suolo”.<br /><br />Gli scienziati di un progetto di ricerca europeo hanno dovuto come prima cosa sviluppare un meccanismo che permettesse al robot di scavare in profondità nel terreno.<br /><br />Per fare questo, crea una sua massa a partire da del materiale artificiale. “La crescita, in Natura, avviene con l’aggiunta di materiale”, dice Ali Sadeghi, ingegnere meccanico dell’IIT. <br /><br />“Abbiamo provato a imitare tale processo sviluppando quello che abbiamo chiamato un ‘sistema accrescitivo’. Forniamo dei filamenti artificiali al robot, il quale riesce a costruire una propria struttura e a penetrare il suolo. Così il costrutto è in grado di costruire il proprio corpo e di allungare se stesso per penetrare nel suolo”, aggiunge.<br /><br />Le radici artificiali reagiscono agli stimoli proprio come quelle vegetali: si incurvano evitando ostacoli o metalli pesanti, mentre cercano attivamente acqua o altre sostanze nutrienti.<br /><br />“Stiamo imitando questo ‘bending differenziale’ attraverso delle soluzioni fluidiche, quindi stiamo utilizzando dei fluidi elettroreologici, che cambiano la loro viscosità applicando una corrente”, spiega Barbara Mazzolai.<br /><br />“Ma stiamo mettendo in atto anche una crescita differenziale del robot stesso per diversa deposizione del materiale”.<br /><br />Per “vedere e sentire” sottoterra, i robot sono equipaggiati con sofisticati sensori, composti di materiali morbidi ma resistenti.<br /><br />“Questi sensori possono codificare, leggere sia il contatto con l’ambiente, un oggetto esterno, una persona che li tocca – dice Lucia Beccai, ingegnere elettronico dell’IIT – sia l’entità dell’indentazione, della pressione che si fa, e della forza nelle varie direzioni”. <br /><br />Queste radici robotiche potrebbero aiutare l’esplorazione spaziale, ma anche la ricerca sotterranea di minerali, di petrolio o persino di mine anti-uomo.<br /><br />Gli scienziati, però, guardano oltre e immaginano un futuro in cui costrutti artificiali di questo tipo possano essere usati in neurochirurgia per sostituire gli attuali strumenti più rigidi e invasivi.<br /><br />“La grande sfida è quella di creare questo meccanismo di crescita autonoma e farlo su dimensioni molto ridotte. E uno strumento flessibile e piccolo diventa anche meno efficace per esercitare delle azioni”, nota però Edoardo Sinibaldi, ingegnere aerospaziale dell’IIT. <br /><br />“Questa è una limitazione che questo tipo di strumenti possono avere, a meno che non si riesca a trovare una strategia per cambiare la rigidità di questi strumenti”, sottolinea.<br /><br />A prescindere dal risultato finale, per i ricercatori siamo di fronte a una nuova era di esplorazione robotica in dirittura di partenza.<br /><br />Per saperne di più, visitate il sito del Progetto Plantoid