Intervista al prof. Raffaele De Caterina, Ospedale SS.ma Annunziata e Direttore della divisione di cardiologia Università 'G. D'Annunzio' di Chieti in occasione del Congresso europeo di cardiologia ESC 2014 di Barcellona <br /> <br />La fibrillazione atriale è il più comune disturbo del ritmo, interessando l’1-2% della popolazione. La prevalenza è in realtà aumentata con la scoperta della forma silente, che si diagnostica solo con particolari metodiche. Colpisce principalmente il paziente anziano, tanto che ne è afflitto il 7-10% degli over 70. <br />E’ una patologia importante non solo per i disturbi soggettivi come le palpitazioni per il battito irregolare o per la frequenza cardiaca aumentata con relativo affanno ma specialmente per il rischio aumentato di ictus cerebrovascolare. <br />Nel caso della fibrillazione atriale non si ha la contrazione coordinata nell’atrio sinistro, che diventa sede di trombi, i quali possono dare embolia sistemica e in qualche caso anche cerebrale. <br />La fibrillazione atriale causa un terzo degli ictus ischemici e viene controllata con gli anticoagulanti. Da qualche anno ci sono i NOACs o NAO i nuovi orali che, a differenza degli anti vitamina K, agiscono su punti specifici della cascata coagulativa con inibizione del fattore X attivato della coagulazione. <br /> <br />A Barcellona abbiamo presentato il registro Prefer in AF, che ha coinvolto oltre 7.000 pazienti coinvolti in 6 macro regioni europee (Italia, Spagna, Francia, Regno Unito, Germania, Austria e Svizzera). In questo registro è stato valuto l’uso dei farmaci antitrombotici a un anno in caso di fibrillazione atriale. Si è visto che la maggior parte dei medici segue le linee guida, con un uso dell’85% di anticoagulati orali, anche se si registra un’aggiunta inappropriata di antipiastrinici nel 10% dei casi. E’ questa una scelta che va modificata, perché si aumenta il sanguinamento senza prove di migliore efficacia. Valutando i dati dopo un anno è emerso anche un maggior uso dei nuovi anticoagulanti orali, come edoxaban, passando dal 2% al 10%. Sono farmaci più costosi al momento dell’acquisto ma offrono un miglior rapporto efficacia/sicurezza per i pazienti.
