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Stoccaggio di CO2 sotto i fondali marini: un metodo sicuro?

2014-11-10 3 Dailymotion

La cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica sotto i fondali marini è il tema di questa puntata. <br /><br />Michele Carlino, euronews:<br />“E’ possibile liberarsi dell’anidride carbonica in eccesso stoccandola al di sotto dei fondali marini? Che cosa accadrebbe agli ecosistemi se questa tecnica venisse generalizzata? Tra Mediterraneo e Mare del Nord un progetto di ricerca europeo punta a rispondere a queste domande”.<br /><br />Prima tappa le isole Eolie, in Italia, per i ricercatori che studiano la cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica, una metodologia considerata utile da una parte degli scienziati per ridurre le emissioni di gas a effetto serra responsabili del surriscaldamento globale. <br /><br />Klaus Wallman, geologo presso GEOMAR, centro di ricerca Helmholtz sugli oceani a Kiel, in Germania, e coordinatore del progetto Eco2: “L’idea è evitare che l’anidride carbonica generata da centrali elettriche a carbone e da altre strutture raggiunga l’atmosfera alimentando i cambiamenti climatici. Quindi la separiamo per immagazzinarla sottoterra in formazioni geologiche. Su terraferma o al largo. In Europa ci sono migliori possibilità di stoccarla sotto il fondale marino”.<br /><br />Alle isole Eolie gli scienziati vogliono capire cosa accade quando le fuoriuscite di anidride carbonica si disperdono in mare. In questo arcipelago di origine vulcanica esistono depositi naturali di CO2.<br /><br />Cinzia De Vittor, biologa marina presso l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste e membro del progetto Eco2: “Siamo in presenza di organismi adattati da lungo tempo a questa situazione, cioè un’area in cui la CO2 fuoriesce naturalmente, un’area in cui quindi il PH è normalmente più basso di quello che siamo abituati a registrare in altre aree”.<br /><br />Per poter analizzare la dinamica del gas è fondamentale osservare il comportamento delle innumerevoli bolle che si sollevano dal fondale marino. I ricercatori devono immergersi con strumenti specifici. <br /><br />Lisa Vielstädte, biologa marina presso GEOMAR: “Abbiamo sviluppato una dispositivo per misurare le dimensioni delle bolle retroilluminandole. Ci serve per capire la velocità di risalita e per testare i nostri modelli numerici”.<br /><br />Un altro metodo per rendere visibile l’anidride carbonica è osservare la dinamica del PH nell’ambiente marino. Lo studio del movimento del flusso permette di approfondire il monitoraggio delle fuoriuscite e la previsione della dispersione.<br /><br />Marius Dewar, ingegnere meccanico all’Università Heriott-Watt e membro del progetto Eco2: “L’anidride carbonica disciolta provoca un cambiamento del PH. Noi osserviamo come il PH si modifica nel corso delle stagioni, vogliamo capire quali sono i posti migliori nei quali possa essere individuato”.<br /><br />Michele Carlino, euronews: “Per analizzare il comportamento dei gas negli abissi marini, la ricerca usa tecnologie messe a punto per l’occasione”. <br /><br />Diversamente da quanto accade alle Eolie con lo stoccaggio e le fuoriuscite naturali di CO2, nel Mare del Nord, dove questa tecnologia esiste da anni, i ricercatori devono simulare le fuoriuscite di anidride carbonica. <br /><br />Peter Linke, biologo presso GEOMAR: “Abbiamo fatto trapelare dalla macchina una quantità limitata di CO2. Poi l’abbiamo ispezionata con i nostri sensori e abbiamo cercato di seguire la sua impronta nell’acqua. E’ estremamente importante per incorporare questi dati nei nostri modelli, per poter fare previsioni”.<br /><br />Le stesse condizioni fisiche del Mare del Nord vengono ricreate in laboratorio. A Kiel, in Germania, gli scienziati hanno l’obiettivo di definire un modello digitale che si possa utilizzare sulla scala più piccola fino alla più ampia. <br /><br />Matthias Haeckel, Geochimico presso GEOMAR: “Esaminiamo quali reazioni registra l’anidride carbonica quando risale. Il passo successivo riguarda la granulometria, si esamina come la CO2 si muove attraverso i pori dei sedimenti. Abbiamo bisogno di capire come tutto questo funzioni macroscopicamente, ad esempio su una scala di diverse decine o centinaia di litri. Da questi esperimenti e da diverse scale ricaviamo informazioni da tradurre in formule matematiche”. <br /><br />Un metodo che genera dubbi tra gli ambientalisti, timorosi che così si eviti di rinunciare alle fonti fossili. <br /><br />www.eco2-project.eu

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