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Repubblica Centrafricana, dopo la guerra civile è ancora caos

2014-12-24 22 Dailymotion

A un anno dalla fine della terza guerra civile che ha devastato la Repubblica Centrafricana, nella capitale Bangui regna una momentanea calma. <br /><br />Le tensioni restano anche dopo la firma del cessate il fuoco dello scorso luglio e la presenza di truppe internazionali in tutto il Paese.<br /><br />Il personale di prima emergenza di Medici Senza Frontiere che opera nell’ospedale di Bangui non ha mai un momento libero.<br />Come spiega Marine Monet. tra i medici di MSF:“Spesso ci arrivano nello stesso momento due, tre pazienti insieme. In questo momento la situazione è più calma, ma abbiamo pazienti con ferite d’arma da fuoco o da lama tutti i giorni”.<br /><br />Le tracce lasciate dal colpo di Stato del 2013 e dal successivo massacro della popolazione sono ancora visibili. <br /><br />Gli uomini del gruppo Seleka, a maggioranza musulmana, guidato da Michel Djotodia sono stati autori di azioni feroci contro la popolazione non musulmana. <br /><br />Sono nate, così, nella comunità cristina delle milizie di autodifesa. Come gli anti- Balaka, che una volta avuto la meglio sui Seleka si sono scagliati contro la popolazione civile musulmana. Il risultato è stata una vera carneficina. 5000 i morti e più di 800.000 sfollati. Questo il bilancio del conflitto. <br /><br />Parte della comunità musulmana è stata costretta a spostarsi verso l’est della capitale, mentre la maggioranza non musulmana si è concentrata nell’area occidentale di Bangui. <br /><br />Il campo profughi di M’Poko allestito nei pressi dell’aeroporto della città, è arrivato a ospitare fino a 100.000 persone nei giorni più caldi del conflitto. <br /><br />La maggior parte dei profughi è stata esiliata, pochi quelli riusciti a far ritorno alle proprie case. <br />Tra loro molti musulmani fuggiti dalle ritorsioni delle milizie Seleka. <br /><br />“Hanno distrutto case, incendiato e saccheggiato abitazioni” racconta <br />Bertin Botto, cordinatore del campo M’Poko “Tra i 20.000 rifugiati presenti oggi nel campo, nessuno ha più una casa o un riparo. Soffrono, non hanno più nulla. E’ questo che li trattiene a non tornare, più che l’insicurezza generale che regna nel Paese”. <br /><br />“Non possiamo uscire, è pericoloso” ci spiega un rifugiato“Appena la situazione cambierà e le milizie saranno disarmate tornerà a casa mia <br /><br />Tra i profughi regna l’inquietudine sul futuro del campo, temono che il Governo voglia dislocarlo. <br /><br />A conferma dei loro timori lo stop alla distribuzione di cibo. <br /><br />Il personale di Medici Senza Frontiere, con l‘ôspedale allestito nel campo, offre un prezioso sostegno ai profughi <br /><br />Da Bangui ci spostiamo verso l’Ovest del Paese <br />Regione, dove il 90% della popolazione musulmana, è scappata dalle violenze dalle milizie anti-Balaka, avviate come risposta ai massacri perpetrati dai Seleka,<br /><br />I pochi musulmani rimasti si sono rifugiati nelle aeree protette dalla MINUSCA, la forza Onu presente nella Repubblica Centrafricana. <br /><br />Nella città di Carnot, ad esempio sono circa 600 i musulmani ad aver trovato rifugio una chiesa. Aspettano da mesi di poter tornare nelle proprie case. <br /><br />Impossibile per loro allontanarsi troppo, la paura di essere aggrediti è forte. <br /><br />Il sindaco di Carnot si sforza di mantenere la calma nella città, anche attraverso continui negoziati tra i rappresentati delle diverse comunità e i capi delle milizie Anti-Balaka. Il primo cittadino di Carnot ci spiega che le case dei musulmani costretti a fuggire sono state occupate come precauzione contro incendi e saccheggi.“Stiamo facendo di tutto con il Consiglio dei Saggi e il parroco” racconta a Euronews “Per riuscire a salvare questo edificio. Queste case restano dei beni anche se i proprietari non ci sono, vanno controllate sempre. Fino al momento della riconciliazione”.<br /><br />Sulla riconciliazione sono in molti a insistere, soprattutto da quando l’economia è praticamente ferma. A complicare il quadro il peggioramento della situazione sanitaria, oggi in condizioni disastrose. <br /><br />Medici Senza Frontiere si è sostituita ormai da tempo al servizio sanitario pubblico. <br /><br />Infezioni respiratorie, Aids e malaria sono all’ordine del giorno nell’ospedale di Carnot. <br /><br />Sempre più frequenti anche i casi di malnutrizione infantile. <br /><br />“Durante la guerra ne arrivavano di meno, perché le persone si spostavano, alcuni avevano provato a rifugiarsi nella foresta, altri si nascondevano” racconta Justin Oladedji, pediatra di MSF “Le coltivazioni sono state abbandonate, e questo ha lasciato i bambini senza cibo. Dalla tregua abbiamo iniziato ad avere sempre più casi di bambini malnutriti”.<br /><br />La povertà della popolazione contrasta violentemente con la ricchezza mineraria della regione, in gran parte dipendente dall’industria dei diamanti. <br />Nonostante sia stata sottomessa all’embargo, l’esportazione delle pietre preziose continua a profitto dei trafficanti. <br /><br />La criminalità, intanto, dilaga.Lungo la strada che collega l’ovest alla frontiera con il Camerun i convogli commerciali o contententi aiuti umanitari sono regolarmente saccheggiati. <br /><br />Riusciamo ad arrivare senza problemi a Berberati, seconda città del Paese.

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