Il decreto legge che riforma le banche popolari sarà votato in fretta e furia al Senato entro mercoledì 25 marzo, data limite prima della scadenza. Si tratta dell'ennesimo provvedimento a beneficio della finanza speculativa, mentre il credito locale è fermo e l'economia reale rimane in stato vegetativo. Il cuore della riforma riguarda la trasformazione obbligatoria in S.p.a. delle banche popolari con un attivo oltre gli 8 miliardi di euro. Se è vero che su 70 istituti popolari solo i 10 più grandi sono toccati dalla riforma è vero anche che questi ultimi detengono la massima parte degli attivi delle banche popolari (525 miliardi su 550). Di fatto il Governo sta azzerando il settore del credito popolare.<br /><br />Le nuove S.p.a. dovranno abbandonare il cosiddetto voto capitario, che contrastava la concentrazione di potere distribuendo ad ogni socio un solo voto in assemblea, indipendentemente dal numero di quote o azioni possedute. Questa norma, nonostante alcune storture, garantiva un azionariato diffuso e orizzontale, anche perché nessun socio poteva detenere più dell'1% del capitale bancario. E d'altra parte evitava le degenerazioni che la regola "un'azione un voto" può produrre, come fotografato dalla letteratura economica.<br />Questi limiti vanno a cadere con la riforma Renzi, anche se l'insistenza delle opposizioni, M5S incluso, ha permesso alla Camera di introdurre un tetto del 5% per i prossimi 2 anni all'esercizio del voto da parte del singolo socio. Si tratta purtroppo di un vincolo di breve respiro. Nel giro di 2 anni non vi sarà più alcun vincolo e le banche popolari saranno a tutti gli effetti pronte alla finanziarizzazione, tanto più se l'economia resterà ferma e con essa gli investimenti produttivi.<br /><br />Il M5S non si schiera a priori contro una riforma delle banche popolari, che va considerata in un disegno più ampio di riforma del sistema del credito nazionale. Il punto critico è come riformare il credito popolare e a favore di chi. Questo intervento scellerato del