La rivolta è scoppiata per “un permesso di soggiorno di due anni per ragioni umanitarie negato” ad un cittadino del Mali, perché senza lavoro, nonostante la disponibilità del giudice a rivedere la pratica. <br /> <br />Al suo rientro al centro il maliano ha comunicato ai connazionali e ad un altro ospite della Guinea, la decisione del giudice. Uno di essi gli avrebbe consigliato “di fare casino nel centro per essere trasferito”. Il tutto alla presenza del direttore e mediatore culturale dello stesso centro, un giovane senegalese, che comprende il dialetto dei maliani, che ha sentito “più volte l’invito a far casino” e a non “aspettare a settembre (la decisione del giudice, ndr), tanto non gliel’avrebbe concessa” proprio perché senza lavoro. <br /> <br />Da qui parte la rivolta, nonostante l’invito del direttore, “a non mettere in atto le minacce”. Era la sera del 20 luglio quando i maliani e il gambiano hanno chiamato i carabinieri che sono immediatamente intervenuti e hanno tentato di sedare gli animi. Dopo che i militari sono andati via, il migrante a cui era stato negato il permesso di soggiorno avrebbe detto “se io non vengo trasferito qui ci scappa il morto”. A quel punto i quattro avrebbero iniziato a “sradicare la rete di recinzione” che separa il centro da una proprietà privata e, “una volta entrati, hanno iniziato a distruggere un orologio appeso al muro”, ad aprire “le automobili alla ricerca delle chiavi di accensione”, ad aprire il congelatore e a riversare il cibo per terra, e rovesciato il congelatore stesso”. Rientrati nel centro i quattro “si sono impossessati di alcuni attrezzi da lavoro che hanno utilizzato per danneggiare le attrezzature della palestra”. <br /> <br />Non contenti avrebbero preso dei blocchetti da costruzione e li avrebbero “sbriciolati per terra, danneggiato il cancello d’ingresso, gettato a terra e sparso il contenuto dei contenitori del secco, distrutto lampade, il wi-fi e scavato i muri interni con dei cucchiai”. Il tutto con “minacce di morte” al direttore che ha dovuto “dormire con altre persone per paura per la mia incolumità”.