Le chiamano maranzine. Adolescenti italiane o maghrebine di seconda generazione, cresciute tra famiglie spezzate, comunità educative e quartieri di periferia. Glitter sulle unghie, coltellini in borsa. Si identificano per esistere, giocano al ribasso per non scomparire. Il gruppo le tiene insieme: protegge, definisce, dà un nome. Si ritrovano sotto il maxischermo di Garibaldi, nei video su TikTok, nei corridoi delle comunità. Si muovono in gruppo, diffidano degli adulti, vivono relazioni che raccontano controllo, dipendenza, reato. Alcune fanno uso di cocaina o psicofarmaci, altre entrano ed escono dagli istituti penali. Aggrediscono per farsi rispettare, restano legate ai fidanzati anche dopo la condanna. «Matte, tristi, cattive: vite fragili di ragazze maranza» inaugura un’inchiesta che indaga la genealogia maranzina e la costruzione di un’identità femminile nata nel conflitto, segnata dal margine.
